sabato 8 novembre 2008

biblioteche e archivi

Forse non ho capito bene io. Cosa che in un certo senso spero. Perchè già lezione il sabato mattina è più un trauma che altro, poi seguire 3 ore di corso sul fatto che "le ricerche si fanno in biblioteca", oddio, non mi sembra proprio serio. Voglio dire, mi sentivo in mezzo a degli automi. Questo professore che ha deciso bene di essere la chiave di volta dell'intera lezione, quindi di mettere se stesso al centro di ogni esempio, di ogni discorso, di ogni argomento. Un po' eccessivo. Lui che vomitava nomi di riviste e tutti a segnarsele, come se, mi sembra ovvio, poi corressero a cercare riviste specialistiche di storia spagnola. In vendita in Spagna, chiaramente. Io guardavo, e mi domandavo: bisogna veramente essere laureati in triennale per sapere dove si recupera il materiale per una ricerca? Bisogna che un uomo in panciotto blu venga a specificare a ventenni figli della tecnologia, pronipoti di Bill Gates che "non sempre le risorse internet sono affidabili". E tutti a scrivere. Oro colato. Spero a questo punto di non avere capito niente io.
UniProvence a parte, oggi finalmente è tornato il sole a Aix! Il cielo è azzurro, pallido, ma azzurro. All'ombra fa freddo, alla luce ci si spoglierebbe volentieri.
Ormai anche il romanticismo di questo posto fuori dal tempo si sta affievolendo. Diciamo che l'intolleranza sale. L'erasmus viene troppo mitizzato, o forse siamo noi che siamo fuori età, comunque è vita. O meglio, sono arrivata a conclusione che vita si, ma non la mia. Non potrei mai vivere con gente così lenta. Sono lenti. Tutti. Hanno la calma del surfista, la velocità del bradipo, lo spirito di un sordo muto. Entri in un negozio e stai pur tranquillo che ci sarà fila alla cassa e che la commessa sarà totalmente incurante di questo. Monetin per monetina ti darà il resto, poi si soffierà il naso, poi guarderà attonita la cassa ( questa sconosciuta) in attesa che sputi lo scontrino. Che tanto il più delle volte non ti darà nemmeno.
L'unico luogo puntuale qui è l'università. Una banda di 13000 scappati di casa che ciondolano minacciando scioperi e incutendo terrore solo all'idea. Pavimenti marci. Bagni in condizioni più che pietose. Ma: il quarto d'ora accademico non sanno neanche cosa sia. Il professore entra in classe più puntuale di un eclissi e inizia a parlare a macchinetta dal momento in cui il suo primo piede ha calpestato il pavimento dell'aula. Chiaramente le classi sono delle trappole per topi, piccole e puzzolenti, dove per sedersi spesso bisogna fare il gioco della sedia, che quando si spegne la musica se non trovi una sedia sei fottuto. Immaginatevi quindi il trauma di entrare in aula alle 14.03: porta che cigola, professore che non smette di parlare ma ti guarda, 32 indigeni che ti fissano per qualche secondo con l'aria sfottente di chi è già lì seduto e tu che come un pirla ti destreggi tra l'imbarazzo del ritardo e il dubbio del sedersi per terra-sulla cattedra- in braccio a qualcuno o recuperare qualche seggiola marciscente in altre aule. Una caccia al tesoro.
Questo è. Almeno entrano sole e musica. Rue Venel è pulita, noi anche.

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